Brano tratto da Sogni di fiumi e di mari

Capitolo uno

Appena ricevuta la breve telefonata di sua madre che gli annunciava la morte di suo padre, John James fece un respiro profondo, prenotò un posto sul primo volo disponibile per Delhi, chiese a Elaine di dargli un passaggio a Heathrow, viaggiò incontro alla notte imminente e, arrivato all’aeroporto Indira Gandhi, scoprì che faceva molto più freddo del previsto. Il funerale si sarebbe tenuto la mattina dopo. Sua madre non era in casa, ma l’anziana domestica lo accolse dicendo che la signora James era andata come sempre alla clinica. «A clinica» disse. «Signora è andata a clinica.» John posò il borsone nell’unica stanza per gli ospiti e si sedette sul letto. Fissò gli scaffali dei libri con un sospiro. Faccio una doccia? D’un tratto sentì una perdita di slancio, una lieve vertigine. No, l’importante era vedere il corpo di papà.
John si alzò e tornò in cucina dove la domestica stava spazzando in terra. Aveva per caso un numero di telefono, le chiese, per rintracciare sua madre? Il numero di un cellulare o del posto di lavoro? La donna lo guardò dondolando la testa in modo strano. Sembrava che stentasse a capirlo. John ripeté la domanda. «Mi serve il telefono di mia madre, alla clinica.» «Clinica» disse la donna, continuando a dondolare la testa. Gli indicò come arrivarci. Si servì delle braccia, imitando una persona che esce di casa e gira a destra. John decise che la passeggiata gli avrebbe fatto bene e s’incamminò.
Fuori, nonostante la temperatura più fresca, la luce vitrea e vivida era la stessa che ricordava da altri viaggi in Oriente, stesso l’odore acre nell’aria, lo strano miscuglio di traffico frenetico, cibo cotto per strada, languidi animali e accattoni insistenti. Gli piaceva. Si sentiva in vacanza. Lavoro troppo, decise.
Cercarono di vendergli cartoline della città vecchia, ninnoli, collane, immaginette sacre. Lui sorrideva e scuoteva la testa. Senza riuscire a trovare la clinica. Le ampie strade sembravano un susseguirsi di palazzoni, alcuni ben distanziati, tutti cinti di fatiscenti mura rosse. Erano inframmezzati da grandi alberi, con sciami di corvi a gracchiare tra il fogliame. John si sfilò il cellulare di tasca e scrisse a Elaine: “Non ci crederai! A casa né mamma né un suo numero di telefono. Ora per cercarla rischio di perdermi. Vorrei che fossi qui. Baci. J.”
Il padre di John era morto di cancro, spegnendosi però con repentinità inattesa. Documentandosi sul cancro alla prostata, John aveva scoperto che nell’immediato non avrebbe dovuto destare preoccupazioni. Perfino in India riuscivano a tenere certe cose a bada per diversi anni. Anzi, alcuni occidentali andavano proprio a Delhi per risparmiare sull’intervento. E, anche necessitando di cure speciali, papà avrebbe sempre potuto tornare in Gran Bretagna. «John, tuo padre è morto stamattina» aveva detto la madre. Non era riuscito a decifrare la voce. Si trovava al laboratorio nel seminterrato del Centre; la centrifuga faceva rumore e il segnale era debole. Di sicuro non piangeva. Mamma era una dura. E la reazione di John era stata a dir poco compassata. Non si era messo a frignare. Non ci era andato nemmeno vicino. Dunque la famosa ricerca di papà si era risolta in un nulla di fatto; queste le prime parole che gli erano venute in mente. La notizia non l’aveva sconvolto. Semmai il contrario, come se si fosse avuto il riguardo di porre fine a una cosa penosa.
Solo parlando con Elaine ne aveva avvertito l’aspetto drammatico. «Mio Dio, John» aveva strillato lei. «Mio Dio! John!» Elaine aveva accantonato i suoi problemi. Bisognava organizzare la partenza. «È tremendo… devi controllare se il visto è ancora valido. È successo così all’improvviso. Poveretto, e tua madre, poveretta!» Lei lo avrebbe seppellito laggiù? No di certo. E i soldi? Non era un mistero che il conto in banca di John fosse a secco. Pagò il biglietto aereo con la carta di credito. «Ma come farete dopo: quella poveretta di tua madre, i soldi che ti passavano?» Elaine trovò uno sportello bancomat e, pur vivendo anche lei a spese dei genitori, lo convinse ad accettare duecento sterline.
Ma quel chiacchiericcio concitato, intuì John mentre andavano in aeroporto, era solo rumore. Elaine ne approfittava per vedere la reazione del suo uomo in un momento difficile e per dare sfoggio di senso pratico e razionalità. John la adorava, ma era tutta una messinscena. Lei recitava. Del resto il teatro era la sua vocazione. Ogni eventualità drammatica la divertiva.
No, l’unico pensiero significativo nelle ventiquattr’ore seguite alla telefonata della madre, si rese conto soltanto ora, era stato sapere che non avrebbe mai più rivisto il padre. Quelle parole erano affiorate in aereo. Proiettavano un film in hindi su un tizio costretto a sposare una certa donna pur essendo chiaramente innamorato di un’altra che, per motivi a John rimasti poco chiari, non era all’altezza. «Non lo rivedrai mai più» si era ritrovato d’un tratto a borbottare.
Non appena gli erano venute in mente quelle parole, qualcosa si era acceso dentro di lui. La telefonata o le cose dette da sua madre non erano niente in confronto. Poi, nel tentativo di immaginare il padre, senza però staccare lo sguardo dal film perché le ragazze erano carine e gli piacevano i colori sgargianti e quella certa artificiosità affascinante che si coglie nei mélo indiani, si era reso conto che nella sua mente non esisteva un’immagine del padre: occhi grigio verdi, dinoccolato, stempiato, biondo rossiccio, naso sottile, l’aria leggermente distratta, a volte distante. Poco più di un identikit. O nemmeno quello. Non vedrò mai più mio padre, pensò. E decise che, arrivato a Delhi, per prima cosa sarebbe andato a guardare il corpo del padre con i propri occhi. Avrebbe osservato il padre morto imprimendoselo nel ricordo per tutta la vita. Peccato che adesso, vagando per un vialone della città vecchia orlato di ondivaga erba secca con qualche poveraccio coperto di stracci sparso qua e là, non riuscisse a trovare la clinica di sua madre; non sapesse dov’era suo padre.

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