– Bastardi! Merda! – sta gridando la folla mentre salgo le scale dello stadio. Un’ora prima del calcio d’inizio le gradinate sono già colme, salvo, naturalmente, il piccolo settore riservato agli «ospiti». I ragazzi di Verona stanno arrivando adesso. Meno di un centinaio, a occhio, uno spettacolo molto modesto: ma in fin dei conti in treno sono sedici ore di viaggio. La folla li saluta a salve di buh seguiti da un canto roboante che non avevo mai sentito: «Uc-ci-de-re! Uc-ci-de-re!»
Lo stadio è piccolo e pittoresco, terrà venticinque, massimo trentamila spettatori. Dalla scala si gode la vista idillica del mare. «Uccidere! Uccidere!» Dato che la Reggina gioca in amaranto, la marea di corpi è tinta di un inquietante rosso scuro. «Uccidere! Uccidere!» Le Brigate Gialloblù rispondono con i loro immutabili gesti. Riconosco Fondo e un paio di altri. Appendono i vecchi striscioni. Quindi appare Pastorello insieme a Foschi, ad Agnolin e alle guardie del corpo. La folla li investe immediatamente con un boato. «Fuori!» cominciano, «Fuo-ri, fuo-ri!» E poi: «Ladro!» Perfino il pubblico del settore VIP indulge a urla e gestacci. Corrado Ferlaino, il vicepresidente del Napoli, è venuto a tifare Reggina con la moglie. – Fuori! Fuori! Ladro! – Senza tradire un briciolo di emozione Pastorello si accomoda al suo posto. La stima che ho in lui aumenta a dismisura. Le due guardie del corpo si siedono agli estremi della sua fila di poltroncine.
Questa volta non sono con i dirigenti. E non mi posso unire alle Brigate perché altrimenti poi non farei mai in tempo a prendere l’aereo. Domani devo essere in commissione laurea. Così a me e a Stefano, un ragazzo che cura il sito Internet dell’Hellas, hanno dato un posto tra i tifosi della Reggina. Non siamo neanche l’uno di fianco all’altro. Stefano ha una paura fottuta. Più si avvicina il momento del fischio d’inizio e più è chiaro che se i reggini scoprono che non siamo dei loro ce la vedremo brutta. – Tu sei un osservatore venuto dall’Inghilterra, – mi dice Stefano. – Non sappiamo una parola di italiano. – Ma so che non la berranno. So che sarà impossibile per quello seduto vicino a me non capire che voglio che il Verona vinca. Non è il genere di sentimenti che uno possa nascondere. Alla fine, ci facciamo faticosamente strada fino alla tribuna stampa e convinciamo qualcuno a lasciarci scavalcare la balaustra. Alle sei in punto Braschi si porta il fischietto alle labbra. Fra un paio d’ore, qualcosa in più se andiamo ai supplementari o ai rigori, questa partita, questa stagione, saranno finite.
La realtà non è poi neanche roba da mordersi troppo le unghie. Seduto in prima fila della tribuna stampa con la testa incuneata tra due ringhiere, guardo il Verona battersi ammirevolmente. A parte l’incomprensibile scelta di Mazzola – un’altra volta! – si direbbe che Perotti abbia azzeccato tutto. Ha infoltito il centrocampo con cinque giocatori, difesa a quattro e un unico attaccante. Cioè Gilardino, ormai guarito dopo l’incidente nel canale. L’effetto è che il Verona la mette sulla corsa. Fregati dalla tensione, quelli della Reggina continuano a perdere palloni. Che mistero sarà mai questo Verona?, mi sto chiedendo. È incredibile pensare che questi ottimi calciatori che ora sembrano anche dotati di nervi d’acciaio si siano ridotti a disputare uno spareggio fra dannate, e per di più nella stagione in cui la qualità del calcistica della Serie A è stata la più bassa degli ultimi dieci anni.
– Si retrocede prima nella testa, – aveva dichiarato a un giornalista l’esperto Ferron prima della partita, – e solo dopo in campo. E mentalmente, questi ragazzi in B non ci sono mai andati. – Dopo una quarantina di minuti molto confortanti, comincio a pensare che il portiere abbia ragione. Questa è una squadra che non retrocederà. Fino a quando, per una delle tragiche amnesie che hanno caratterizzato il nostro campionato, lasciano troppo spazio alla Reggina e l’attaccante Zanchetta può tentare il tiro. Da fuori area indovina esattamente il diagonale da sogno destinato a battere Ferron insaccandosi dopo aver colpito il palo interno. Scuoto la testa: se ci riprova un milione di volte… La folla ha appena finito di esultare che la Reggina segna il secondo. Questa volta è un imperdonabile pastrocchio difensivo con sventurato rimpallo. Lo stadio esplode. Due a zero. Reggina in Serie A. Tutto attorno a Pastorello c’è gente che fa il gesto dell’ombrello. Prendiamocelo in quel posto. Si vede una signora per bene che si alza in piedi stringendo il pugno. Qualcuno sta gridando: Dio gioca in amaranto!
Nell’intervallo cerco di consolarmi con il pensiero che almeno così alla fine non scoppieranno disordini. Saranno tutti molto sportivi, ci diranno, su, non prendetevela. Nel loro serraglio le Brigate cercano di cantare, ma la voce è moscia. Puliero viene a parlarmi. Anche nel suo box da radiocronista deve parlare piano. È stato colpito alla testa da una bottiglia di plastica da minerale. Fa segno di no. – Sono pessimista… adesso è dura.
Il secondo tempo è una fase di paralisi emotiva. Abbiamo fatto tutta questa strada, nel tempo e nello spazio, per nulla. Prepariamoci alla sconfitta. Prepariamoci a tacere sull’aereo, rispettando un lutto generale. Però… c’è sempre a regola del gol in trasferta. Non mi sono mai sentito così grato alla la regola del gol in trasferta. Ricordo all’improvviso che se segnassimo ora, per improbabile che possa sembrare, sul risultato complessivo di due a due il nostro gol in trasferta varrebbe il doppio. Possiamo ancora farcela.
Dopo la partita ho sentito i racconti di tante persone su quello che stavano facendo durante quegli impossibili minuti. Matteo è a casa del suo amico Piero a guardarla in pay-Tv fumando una sigaretta dopo l’altra. In auto, di ritorno da una breve vacanza con moglie e figlio, Pietro continua ad accendere e spegnere la radio. Porta sfortuna sentire tutta una partita alla radio. I Più-mati sono riuniti attorno alla televisione di Beppe. C’è una profonda tristezza nell’aria. Cris-do-fastidio-a-qualcuno non ce la fa più: in vacanza, ha lasciato la sala televisione dell’albergo ed è andato in spiaggia a guardare il mare. Nel frattempo mio figlio Michele è a Pescara dalla nonna, impavidamente disteso sul letto ad ascoltare per radio fino all’ultimo mortifero dettaglio. Alla sfortuna non ci crede, lui. Ma ha perso la speranza. Tifosi fuori sede, a Londra, addirittura a New York, mi stanno inviando una serie di SMS. «Se segniamo, devi dircelo subito».
«Serie B! Serie B!» Il pubblico non ha misericordia. Perotti ha richiamato Mazzola inserendo Cossato. Adesso esce Teodorani dal collo tacchinesco, sostituito da Melis. È un assedio, alla difesa chi ci pensa più? Mentre la tensione cresce, Braschi si mantiene il più imparziale possibile. Non è che fischi tutto, ma abbastanza da non farsi sfuggire la partita di mano. E la cosa più straordinaria del calcio, dico fra me in un piccolo soprassalto di ottimismo, è che per quanto sia attorniato dagli orpelli del combattimento all’ultimo sangue, e per quanto richiami ogni sorta di business e politicume, comunque in campo ci sono delle regole e la classe ha un valore, così come il rimbalzo fortunato o il rimpallo inatteso. Forza, Hellas. Lo sto gridando nella mia mente. Non devo farmi scappar nulla ad alta voce. Forza, provaci fino al triplice fischio.
Ma adesso le migliori occasioni capitano alla Reggina. In contropiede falliscono tre comode palle-gol. D’altra parte fa un caldo soffocante e pian piano si chiudono in difesa. Hanno l’idea di avere fatto abbastanza. Ingolfiamo l’area. Perdiamo tempo. Come a Napoli, avviene la sparizione dei raccatapalle. Dopo ogni interruzione ci vuole un’eternità per riprendere il gioco. Appena un giocatore del Verona recupera il pallone, miracolosamente riappare un raccatapalle che ne butta in campo un altro. E ogni volta che il Verona scende lungo le fasce laterali, una dalle tribune si abbatte sui giocatori pioggia di bottiglie di plastica. Un guardalinee è colpito e cade a terra. Devono medicarlo. Altro tempo perduto. Ci sono punti del campo in cui è difficile controllare la palla a causa di tutte le bottiglie lanciate. Cossato caracolla e sgomita ma è troppo lento. Sbaglia un colpo di testa. Mentre il frastuono di accompagnamento supera qualunque analogo rumore che abbia mai sentito in precedenza, decine di uomini cominciano ad apparire lungo le linee laterali. Chi sono? Cosa fanno lì? Non sembrano tifosi.
Adesso hanno formato una muraglia proprio lungo la linea più vicina. Braschi va a lamentarsi con un dirigente reggino. Gli uomini restano compatti, numerosi, minacciosi. Taibi impiega un secolo per fare un rinvio. Mancano dieci minuti. Resto seduto perfettamente immobile. Gli spettatori attorno a me evidentemente non sono giornalisti, ma tifosi dei padroni di casa. Hanno capito da che parte sto perché continuo a mormorare: – Che schifo! – Non so trattenermi. Grandinano bottiglie. Viene buttato in campo un secondo, addirittura un terzo pallone. – Scandaloso! – Meno cinque minuti; meno quattro. Poi, mentre i difensori della Reggina lasciano la linea arretrata salendo per effettuare la trappola del fuorigioco, succede qualcosa. Giuseppe Colucci intercetta il pallone, alza la testa, vede l’errore. Con il piede a cucchiaio, spedisce il più perfetto dei pallonetti sopra la testa dei giocatori della Reggina che avanzano, in direzione di Cossato che per un soffio non è in fuorigioco. Cossato vede Taibi già in uscita a valanga verso di lui. Con inattesa flemma, Super-Mike non aspetta nemmeno che la palla rimbalzi. La corregge alta sopra la mani del portiere in avvicinamento, evita il portiere stesso aggirandolo ed elude il ritorno di due difensori per segnare di testa forse il gol più sublime e classico della sua carriera. 2-1. Verona in A grazie al gol in trasferta.
Mortalissimo silenzio! Ha un che di irreale dopo il boato permanente degli ultimi quaranta minuti,. Cossato non esulta. Non può crederci. Si gira verso l’arbitro per controllare che il gol sia stato convalidato. È così. È sbalordito. Poi – piccine, insignificanti, tinnule – sento le urla lontane delle Brigate. C’è Fondo che grida come un ossesso, alzando e abbassando le braccia a pistone in un gesto di scherno. Sul campo, un dispettoso Gilardino si porta il dito alle labbra per zittire la curva della Reggina. I tifosi ululano di dolore. Segue un enorme empito di collera. Gente che si spinge contro le inferriate. Pastorello si alza di scatto dirigendosi verso gli spogliatoi seguito dai collaboratori e dalle guardie del corpo. Lo strepito aumenta. Un rumore da agonia. Da rantolo mortuario. Senza farmi notare anch’io abbandono il mio posto per seguire gli ultimi minuti fra persone che non abbiano avuto modo di constatare che non sono dei loro.